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Friday, August 17, 2012

Opposizione nella vita


Opposizione nella vita

PERCHE’ LA CHIESA E’ TANTO VERA QUANTO IL VANGELO.
AFFRONTARE IN MODO COSTRUTTIVO L’OPPOSIZIONE NELLA VITA.
DI EUGENE ENGLAND
SUNSTONE, 10 APRILE 1986
Eugene England è stato Professore Associato di inglese
alla Brigham Young
University ed è l’autore del libro"Dialoghi con me
stesso". E’ morto
nell’agosto 2001.
Quando ero un ragazzo, ero convinto che l’evento più
noioso della Chiesa,
forse del mondo, fosse una Conferenza di Palo che a quei
tempi aveva luogo ogni
tre mesi e prevedeva due sessioni di due ore alla
domenica. La parte più
divertente e interessante per noi bambini erano gli inni
cantati dalla vibranti
voci delle "madri del coro" e il sobrio cibo offerto dal
Comitato del Palo
impegnato nella lotta contro l’alcol e il fumo.
Ma, una conferenza fu particolarmente memorabile. Avevo
dodici anni e sedevo in
prima fila perché mio padre era stato sostenuto come sommo
consigliere in un
palo appena costituito. Mi ero appena guardato attorno per
cercare di
stuzzicare mia sorella, seduta dietro a me, quando sentii
qualcosa di vagamente
familiare riscaldare il mio cuore e il mio corpo che mi
spingeva, quasi
fisicamente, a guardare il viso trasfigurato dell’Anziano
Harold B.Lee,
l’Autorità in visita" che aveva improvvisamente interrotto
il suo discorso per
dare una benedizione apostolica al nuovo Palo. Sentii, per
la seconda
importante volta nella mia vita, la presenza dello Spirito
Santo e la
testimonianza speciale di Gesù Cristo. Quante Conferenze
di Palo avrei dovuto
attendere per essere nuovamente alla presenza di tanta
Grazia? Migliaia o tutte
quelle che sarebbero venute? La perla non ha prezzo! E
poiché avevo imparato
meglio cosa cercare capii – e non fu una rivelazione
dottrinale ma la semplice
comprensione di un’esperienza con i membri della Chiesa -
che le conferenze
sono tutt’altro che noiose. Questa, una delle più
importanti testimonianze
sulla mia fede, non la ottenni tramite una grande ricerca
introspettiva del
Vangelo ma semplicemente perché stavo facendo il mio
dovere nella Chiesa,
benché fossi ancora un immaturo.
Un detto mormone spesso ripetuto è che il Vangelo è vero e
perfetto ma che la
Chiesa, dopo tutto, è uno strumento umano, legato agli
eventi storici, e
pertanto comprensibilmente imperfetto, qualcosa da
accettare per la causa del
Vangelo. Tuttavia, io sono persuaso sia per le esperienze,
come quella vissuta
alla conferenza di palo, sia per mio pensiero personale,
che la Chiesa sia
tanto "vera", tanto efficace e sicura come strumento di
salvezza quanto le
dottrine che noi chiamiamo vangelo. E questo è così in
buona parte a causa
delle difficoltà, delle prove umane e dei problemi di vita
che occasionalmente
creano in tutti noi angoscia.
Io so che coloro che usano questo detto, che il Vangelo
sia più vero della
Chiesa, vogliono un sistema perfetto dei comandamenti
rivelati basato sui
principi infallibili che esprimano le leggi naturali
dell’universo. Ma proprio
la rivelazione è , di fatto, semplicemente la miglior
comprensione che il
Signore possa darci di queste cose. E, come il Signore
stesso ha spesso
affermato, questa comprensione è molto lontana dalla
perfezione. Egli ci
rimanda alla prima sezione di DeA (1:24-25). Questo è la
sintesi completa di
quei problemi che nascono quando si cerca di trasporre la
conoscenza che Dio ha
dell’universo nel linguaggio umano credendo di averla
capita. Dovremmo stare
attenti a rivendicare troppo "il Vangelo" che non
rappresenta i principi
perfetti o le loro leggi naturali o la perfetta conoscenza
di Dio in merito a
queste cose – ma è semplicemente la più stretta
approssimazione che l’uomo
mortale, sì ispirato ma limitato, possa ricevere.
Anche una rivelazione ricevuta ed espressa da un profeta,
deve essere compresa,
meditata e tradotta in diverse lingue, espressa in
programmi e manuali,
discorsi e estratti, in una parola interpretata. E questo
significa che almeno
una parte delle limitazioni del linguaggio e dei modi di
vedere del mondo entra
in essa. Sono sempre rimasto perplesso quando qualcuno
chiede ad un insegnante
o oratore se ciò che sta dicendo è vangelo puro o
semplicemente la sua
personale interpretazione. Tutto ciò che ognuno dice è
sostanzialmente
un’interpretazione. Anche soltanto il leggere le scritture
agli altri comporta
un’interpretazione, scegliendo ambedue cosa leggere in una
particolare
circostanza e come leggere (con quale tono e enfasi). Al
di là di questo, ogni
cosa che noi facciamo diventa sempre meno "autorevole"
anche quando cerchiamo
di spiegare e applicare le scritture, cioè quando
insegniamo il Vangelo.
Sì, io so che lo Spirito Santo può donare gocce di
intelligenza pura a colui
che parla o porta testimonianza della verità. Io ho potuto
ricevere tutti e due
questi amorevoli e rassicuranti doni. Ma questi doni, che
garantiscono la guida
costante della Chiesa nel modo in cui il Signore intende e
in alcune occasioni
guidano in modo sorprendentemente chiaro l’individuo, mai
contrasteranno il
libero arbitrio o la libertà individuale. Anch’essi non
sono esenti da quelle
limitazioni del linguaggio umano e della percezione morale
che il Signore
descrive nel passo sopra citato e non possono costringere
all’accettazione e
comprensione universale.
Questo problema è costituito dalla natura fondamentalmente
paradossale
dell’universo stesso e di conseguenza dalle leggi e
principi veri che il
Vangelo usa per descrivere l’universo. Il passo di Lehi
"poiché è necessario che vi sia un’opposizione in tutte le
cose" (2Nefi 2:11) è
forse la dichiarazione più profonda e provocatoria della
teologia astratta
delle scritture, perché presume di descrivere ciò che è
l’aspetto più estremo
dell’Universo, addirittura al di là di Dio. Nel contesto
il passo suggerisce
chiaramente non solo che contraddizione e opposizione sono
una parte naturale
dell’esperienza umana, qualcosa che Dio usa allo scopo di
redimerci, ma che
l’opposizione è il vero cuore delle cose; è intrinseca
alle due realtà più
fondamentali – intelligenza e materia – che Lehi chiama
"cose da fare e cose
che devono essere fatte." Secondo Lehi l’opposizione dà
all’universo energia e
significato e , inoltre, rende possibile l’esistenza di
Dio e ogni altra cosa.
Senza di essa "tutte le cose non
esisterebbero"(2Nefi2:13).
Tutti noi sappiamo per esperienza quali sono le
conseguenze per la vita mortale
di questa fondamentale ed eterna verità riguardo la
realtà. Le idee più
importanti e produttive di tutta la storia sono state
paradossali; l’energia
stimolante presente in tutte le arti è stata conflittuale
e in opposizione; la
base del successo di ogni sviluppo economico, politico o
sociale è stata la
competizione e il dialogo. Pensiamo al nostro sistema
federale di conti e
bilanci e al nostro sistema politico bipolare (due partiti
che assieme rendono
possibile una democrazia pluralistica), al
romanticismo e classicismo, ragione e sentimento, libertà
e disciplina,
individuo e comunità, uomini e donne (le cui differenze
rendono possibile il
progresso eterno), giustizia e misericordia (la cui
opposizione rende possibile
la nostra redenzione attraverso l’Espiazione). La vita in
questo universo è
piena di polarità; noi lottiamo con loro, ci lamentiamo di
loro e, talvolta,
tentiamo persino di distruggerle con il dogmatismo e la
giustizia personale
oppure ritornando all’innocenza che è soltanto ignoranza,
un ritorno al
Giardino di Eden dove ci sono falsa tranquillità e
chiarezza ma non salvezza.
William Blake, il poeta profetico, sosteneva che "senza
opposizione non ci
potesse essere esistenza" e dichiarava che "chiunque
tentasse di riconciliare
(i contrari) cercava di distruggere l’esistenza." Inoltre,
noi vedremo "faccia
a faccia " ciò che ora "vediamo in uno specchio in modo
oscuro" (ICorinzi
13:12) e per questo sarebbe bene ottenere il meglio da
esso (il Vangelo). Così,
quando lo conosciamo nei limiti umani, il "Vangelo" non è
, e forse data la
natura paradossale dell’universo stesso, non può essere
una semplice e chiara
serie di asserzioni inequivocabili.
E qui entra in gioco la Chiesa. Credo che sia il mezzo
migliore, a parte il
matrimonio (che è il paragone più idoneo in questo senso)
per combattere in
modo costruttivo con i contrasti dell’esistenza. Credo che
il meglio di ogni
chiesa o organizzazione sia il modo in cui si combatte, il
"più vero" che ci
sia. E credo che noi possiamo definire chiaramente la
chiesa mormone come "la
vera Chiesa" solo se pensiamo che sia la migliore
organizzazione per fare ciò
e che sia stata fondata e venga conservata per rivelazioni
che sono provenute
e continuano a provenire da Dio , anche se per necessità
si manifestano in modo
"oscuro".
Martin Lutero, con visione profetica, scriveva: "il
matrimonio è la scuola
dell’amore", ciò significa che il matrimonio non è il
risultato dell’amore
quanto la scuola. Credo che ogni buona chiesa sia una
scuola d’amore e che la
chiesa mormone per la maggior parte delle persone, forse
per tutti, sia la
migliore, la "sola vera Chiesa vivente" (DeA 1:30), non
solo perché le sue
dottrine insegnano e rappresentano alcuni dei più grossi e
centrali paradossi,
ma, soprattutto, perché la Chiesa fornisce il miglior
contesto per combattere,
operare, resistere ed essere redenti da quei paradossi e
opposizioni che danno
energia e significato all’universo. Poco prima di morire,
J.Smith, anche con
visione profetica, scrisse: "provando i contrari, la
verità è resa
manifesta".(Storia della Chiesa 6:428). Per "prova" egli
intende non soltanto
dimostrare logicamente, ma esperimentare, combattere e
lavorare nell’esperienza
pratica. La Chiesa è tanto vera ed efficace quanto il
Vangelo perché ci
coinvolge direttamente sperimentando i contrari, lavorando
in modo costruttivo
con le opposizioni all’interno di noi stessi e
specialmente tra le persone,
combattendo con i paradossi e le polarità ad un livello
empirico che ci può
redimere. La Chiesa è vera perché è concreta, non teorica;
in tutte le sue
contraddizioni e problemi , produce alla fine il bene
tanto quanto il Vangelo.
Consideriamo perché questo è così. Nella vita della vera
Chiesa, come in un
buon matrimonio, ci sono costanti opportunità per tutti di
servire,
specialmente di imparare a servire persone che altrimenti
non sceglieremmo di
servire – o di frequentare – così ci sono opportunità di
imparare ad amare
incondizionatamente. C’è un costante incoraggiamento,
anche pressione, ad
essere "attivi", ad avere una chiamata, e quindi a dover
affrontare persone e
dirigenti, le idee e i desideri di altre persone, i loro
sentimenti e
incapacità, a dover frequentare classi e riunioni,
ascoltare nozioni talvolta
preconcette e inesatte di altre persone, a dover fare
talvolta alcuni
discorsi, ad avere dirigenti e, talvolta, ad essere forti
di fronte alla loro
debolezza e cecità e, anche, ingiusto dominio e, poi, ad
essere chiamati
dirigenti e scoprire che tu, anche, con tutte le migliori
intenzioni, puoi
essere debole, cieco e ingiusto. Il coinvolgimento nella
Chiesa ci insegna la
compassione e la pazienza tanto quanto il coraggio e la
disciplina. Ci rende
responsabili del comportamento personale, nell’ambito del
matrimonio, fisico e
spirituale di persone che noi non sempre riusciamo ad
amare ( o per le quali
proviamo proprio avversione), e così noi impariamo ad
amarli. La Chiesa ci
pressa e ci sfida, anche se non siamo d’accordo e se siamo
esasperati, in modi
che noi non avremmo mai scelto, e così ci dà una
possibilità di fare meglio di
quanto noi potremmo fare, ma che alla fine abbiamo bisogno
di fare e vogliamo
fare.
Michael Novak, il teologo cattolico laico, ha trattato
questo stesso punto
relativo al matrimonio. In uno straordinario saggio
pubblicato da Harper
nell’aprile 1976, ha riesaminato la crescente inclinazione
degli intellettuali
moderni a resistere, disertare o addirittura ad attaccare
il matrimonio ed ha
sostenuto che il motivo principale per cui la famiglia,
che per tradizione è
stata il baluardo della sicurezza economico-emozionale,
attualmente "non viene
vista favorevolmente" è che molti opinionisti moderni non
sono disposti a
correre rischi nell’assoggettarsi alle regole che la
scuola del matrimonio
richiede. Ma ha poi indicato come tali timori, sebbene
giustificati, li
allontanino dal conoscere i loro principali bisogni. Allo
stesso modo, credo
che coloro che resistono, disertano e attaccano la Chiesa
non riescano, per una
semplice mancanza di prospettiva, a riconoscere i loro più
importanti
interessi. Leggendo questo passo di Novak, provate a
sostituire mentalmente il
termine "matrimonio" con "Chiesa":
"Il matrimonio (Chiesa) è un attacco al proprio ego
solitario. Il matrimonio è
una minaccia al singolo individuo. Il matrimonio impone
responsabilità a volte
faticose, umilianti, dure e frustranti e anche se qualcuno
può supporre che
proprio queste cose siano di ostacolo ad ogni tipo di vera
libertà, il
matrimonio non è il nemico della crescita morale negli
adulti, ma è proprio il
contrario.
L’essere sposato e l’avere dei figli (l’essere attivi
nella Chiesa) ha impresso
nella mia mente delle lezioni per i cui insegnamenti io
non posso non essere
grato. Per la maggior parte si è trattato di lezioni sulle
difficoltà e le
costrizioni. La maggior parte di ciò che io sono costretto
ad imparare su me
stesso non è piacevole. La mia dignità di essere umano
dipende più dal tipo di
marito e genitore (membro della chiesa) che io sono che da
ogni altro incarico
professionale che sono chiamato a svolgere. I legami con
la mia famiglia (la
mia chiesa) impediscono a me e anche a mia moglie di
cogliere molte
opportunità. E proprio queste non sembrano dei legami ma
sono, lo so, la mia
libertà. Mi costringono ad essere un essere umano diverso
nel modo in cui
voglio veramente e di cui ho bisogno.
Porto testimonianza che la Chiesa può creare per noi le
stesse situazioni
frustranti e umilianti, ma che alla fine ci portano
libertà e redenzione, se
noi sapremo considerarle così come Novak fa con il
matrimonio, se sapremo
capire che i suoi attacchi al nostro io solitario, i suoi
legami e
responsabilità, che noi accettiamo consciamente, ci
costringono a diventare
persone diverse nel modo in cui noi veramente
(intimamente) vogliamo e di cui
abbiamo bisogno.
Due sono le chiavi di questo potere paradossale della
Chiesa SUG: la prima è
che, per rivelazione, è una chiesa laica e radicale più di
ogni altra; la
seconda è che organizza le sue congregazioni in modo
geografico piuttosto che
per preferenza. So che ci sono delle eccezioni, ma
l’esperienza base nella
Chiesa di quasi tutti i mormoni li porta direttamente e
costantemente ad
interagire, nell’ambito delle loro congregazioni, con
persone e problemi che
non vengono scelti principalmente da loro, ma che hanno un
profondo potere di
redenzione, in parte proprio perché non vengono scelti in
modo cosciente. Sì,
le ordinanze fatte nella Chiesa sono importanti tanto
quanto i testi
scritturali, le esortazioni morali e le condizioni
spirituali. Ma anche queste,
secondo la mia esperienza, possono redimere proprio perché
le loro profonde e
attive opposizioni lavorano in modo armonico con quelle
opposizioni che operano
attraverso la struttura della Chiesa per rendere vera e
dare significato alla
vita religiosa dei mormoni.
In uno dei suoi ultimi messaggi durante una sessione del
sacerdozio del sabato
sera, il Presidente David O.McKay, il 5 ottobre 1968,
lasciò una sorta di
testamento finale che risultò abbastanza scioccante per
molti di noi, convinti
che i profeti non potessero avere dubbi sulle
manifestazioni divine. Ci
raccontò di quanto, durante gli anni dell’adolescenza,
avesse inutilmente
lottato perché Dio "mi dichiarasse la verità della
rivelazione a J.Smith". Egli
pregò "in modo fervente e sincero", sulla collina come a
casa, ma doveva
ammettere con sé stesso costantemente che "nessuna
manifestazione spirituale si
era rivelata a me". Egli però continuò a ricercare la
verità e a servire gli
altri nel contesto del mormonismo, inclusa la missione in
Gran Bretagna,
soprattutto per la fiducia che nutriva nei suoi genitori e
per la testimonianza
della propria personale esperienza. Alla fine, come
Presidente McKay, ebbe la
manifestazione spirituale per ciò che aveva pregato
durante la sua adolescenza,
manifestazione che fu la naturale conseguenza
dell’adempimento del proprio
dovere. Come l’Apostolo Giovanni dichiarò: "se uno vuol
fare la volontà di Lui,
conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo da me
stesso" (Giovanni
1:17).
Dopo una serie di incontri tenuti a Glasgow in Scozia,
ebbe luogo una delle più
straordinarie conferenze del sacerdozio. Ricordo, come se
fosse ieri,
l’intensità dello Spirito in quell’occasione. Ognuno
poteva sentire quanto
forte fosse lo Spirito del Signore. Tutti i presenti erano
un solo cuore e una
sola mente.Mai prima avevo avuto una simile esperienza,.Ci
fu una
manifestazione per la quale, da giovane dubbioso, avevo
pregato segretamente e
molto scrupolosamente sia sulle colline che nei prati..
Durante la conferenza un anziano di sua propria iniziativa
si alzò e
disse:"Fratelli, in questa stanza ci sono degli angeli".Per
quanto strano possa
sembrare, l’annuncio non fu sorprendente, anzi sembrò del
tutto appropriato,
sebbene non fosse capitato a me di riconoscere la presenza
di esseri divini. Io
sapevo soltanto di essere oltremodo grato per la presenza
del Santo Spirito.
Avevo avuto molte conferme dalla testimonianza profetica
data dal Presidente
McKay nel suo sermone. Molte delle mie profonde
manifestazioni spirituali,
quelle che svilupparono le mie convinzioni più radicate,
le ebbi in merito
all’esistenza di Dio e Suo Figlio Gesù Cristo e il loro
divino lavoro, così
come i miei principali dubbi, lotte morali con le grandi
espressioni umane di
integrità personale contro le responsabilità pubbliche,
fedeltà verso sé stessi
contro la fedeltà verso la comunità, la libertà di
redenzione contro le
strutture di redenzione, tutto ciò è arrivato, come il
Pres. McKay afferma
"come naturale sequenza dell’osservanza del proprio
dovere", nella Chiesa.
Io so che Dio è stato trovato da persone inusuali in posti
inusuali; con una
visione improvvisa in un bosco o frutteto o grotta, o
sulle montagne o in uno
stanzino, nel sacro servizio ai lebbrosi in Africa o a
Calcutta, Ma per molti
di noi, per molte epoche, sono convinto che possa essere
trovato sicuramente
nella "naturale sequenza dell’osservanza delle regole che
Egli ci ha dato e che
tutti noi (non solo le persone speciali) possiamo
rispettare nelle nostre case
o vicinanze e che la Chiesa, nella sua unica comunità,
imposta tanto quanto
scelta, può meglio insegnarci e renderci capaci di
osservare.
Sono arrivato ad una straordinaria testimonianza della
divinità del Libro di
Mormon, tanto che lo Spirito mi tocca, fino alle lacrime,
ogni qualvolta ne
leggo una parte e la insegno poi nella Chiesa. Sono
convinto che il libro
fornisca le più complete nozioni cristologiche (dottrine
di come Cristo ci
salvi dal peccato) disponibili per noi sulla terra e che
le testimonianze
interiori sulla divinità del libro schiaccino
completamente le prove e gli
argomenti contro di esso, in ogni caso travagliati. Una
domenica, la scorsa
estate, mentre stavo cercando di salvare una giovane donna
che aveva tentato il
suicidio numerose volte, l’ultima proprio recentemente, e
si sentiva
profondamente inutile e provava un forte rifiuto di se
stessa, fui spinto a
leggerle alcuni passi del Libro di Mormon sull’Espiazione
di Gesù Cristo.
Mentre stavo leggendo questi passi a quella giovane donna
disperata e portavo
testimonianza di come la loro verità e potere mi avessero
aiutato nei momenti
di disperazione e peccato, le sue labbra iniziarono a
tremare e nuovi
sentimenti e lacrime di speranza sostituirono quelli di
angoscia.
In momenti come questi potevo, tramite la mia chiamata di
vescovo, applicare il
sangue espiatorio di Cristo non in teoria ma nella verità
della pratica. In
più ero arrivato a conoscere il ministero degli angeli
perché avevo fatto le
mie alleanze nel tempio e, quando possibile, ero andato
alle dedicazioni dei
templi. Avevo scoperto che noi mortali abbiano in verità
il potere di benedire
i nostri buoi e le nostre automobili tanto quanto le
persone perché io ero
presidente di ramo e, in quanto tale, ero stato spinto ai
limiti della mia fede
dal mio senso di responsabilità verso il mio ramo.
Prima di essere chiamato presidente di ramo, avevo servito
nel vescovato del
rione di Stanford verso la metà degli anni ’60 ed ero
l’insegnante di Istituto
di giovani meravigliosi. Al tempo stesso mi stavo
graduando in letteratura
inglese tentando di giungere intellettualmente a patti con
il moderno
scetticismo e relativismo, con i dilemmi morali dei
diritti civili, i movimenti
contro la guerra e le rivoluzioni educative dell’epoca.
Tendevo a considerare
moltissimo la religione in termini filosofici e
grossolanamente morali dei
quali il Vangelo a volte parla a volte no. Nel 1970
accettai una posizione di
decano degli affari accademici a St.Olaf, un college
luterano per le arti
liberali nella piccola città di Northfield, nel Minnesota,
e dopo una
settimana dal mio arrivo fui chiamato presidente del
piccolo ramo mormone di
quella zona. Improvvisamente mi trovai in un mondo
completamente diverso che mi
provò individualmente e mi insegnò molto su ciò che è la
"religione". A
Stanford molto della mia vita religiosa consisteva nel
capire e difendere il
Vangelo ed era idealistica, astratta e critica. A
Northfield, quale presidente
di un ramo di venti famiglie sparse nel raggio di oltre 75
miglia – da coloro
provenienti dallo Utah, agli inattivi con devastanti
problemi familiari sino ai
meravigliosi convertiti senza lavoro o con genitori
alcolizzati dai quali
avevano ricevuto solo percosse – mi trovai presto
coinvolto in una vita
religiosa che era pratica, specifica, fatta di sacrificio,
anche esasperata ma
di maggiore soddisfazione. E compresi, più chiaramente di
prima, come la Chiesa
sia vera come strumento di confronto per ogni tipo di
persona grazie al
processo di salvezza, nonostante (ma anche per questo!) i
suoi dirigenti siano
strumenti imperfetti come io lo sono.
Penso ad un giovane uomo di quel ramo, menomato a causa di
una serie di
problemi mentali e familiari, incapace di esprimere parola
in un gruppo o di
organizzare la sua vita in modo produttivo. Quando gli
demmo maggiori
responsabilità nell’ambito del rione, supportandolo con
tanto amore e pazienza
mentre cercava di lavorare con gli altri e di esprimere se
stesso, ebbi la
possibilità di vederlo diventare un eccellente dirigente e
un fidato marito e
padre. Penso ad una donna, il cui marito alcolizzato aveva
fatto della sua vita
un inferno di abusi, ma che nonostante ciò aveva
continuato a prendersi cura
di lui, lavorando tutta la settimana per provvedere alla
sua famiglia e venendo
in Chiesa ogni domenica vestita in modo sobrio ma
disinvolto e con paziente
determinazione. Questa donna aveva trovato, con il nostro
aiuto, una piccola
speranza, un po’ di bellezza ed idealismo e la forza non
solo di sopportare ma
di continuare ad amare ciò che amabile non è. La Chiesa
benedice tutti noi
facendoci incontrare l’un l’altro.
Durante i cinque anni in cui servii, il rione contava
70-100 membri, dei quali
forse due o tre avrei normalmente scelto come amici e con
i quali avrei
condiviso le mie convinzioni e pensieri politico-religiosi
"importanti" e più
sentiti, gli unici che mi avevano così coinvolto a
Stanford. Con un’ispirazione
molto al di là del mio di solito poco buon senso, io non
iniziai il mio
incarico come presidente di ramo predicando le mie idee e
promovendo le mie
crociate, ma mi sforzai di capire quelli che erano i
problemi e le
preoccupazioni più immediati del mio gregge per essere un
buon pastore pronto
ad assistere e proteggere i propri membri. Successe
qualcosa di meraviglioso.
In quel periodo percorrevo centinaia di miglia e impiegavo
ore e ore per
aiutare una coppia, chiusasi nell’assoluto silenzio, a
ritrovare il dialogo,
per guidare un giovane ad uscire dal tunnel della droga,
per insegnare ad un
autoritario militare a collaborare con i suoi consiglieri
all’interno della
presidenza del quorum degli anziani, per benedire un
bambino gravemente malato
chiedendo l’aiuto a suo padre debole nella fede e
fortemente impaurito, per
confortare, alle quattro del mattino all’ospedale, i
genitori di un ragazzo
rimasto ucciso in un incidente provocato dal fratello
ubriaco ed aiutare poi il
fratello stesso a dimenticare. Sei mesi più tardi scopersi
che i membri del
mio rione, inizialmente sospettosi nei confronti di un
intellettuale che
proveniva dalla California, avevano incominciato a
sentire, in seguito alle
loro personali esperienze, che la mia fede e devozione
verso di loro erano in
realtà "più forti delle corde stesse della morte". E,
quanto promesso in DeA
121:44-46 si realizzò. In me fluiva "senza forzature" il
potere di parlare di
ogni mio pensiero e sentimento e potevo essere capito ed
avere la fiducia anche
da parte di chi non concordava con quanto affermavo.
Ora, tutto questo potrà sembrare un po’ interessato e
anche ossessivo circa il
contributo che la Chiesa ha dato alla mia maturità
spirituale. Ma ciò che
successe a me successe anche ad altri. Una giovane coppia
che frequentava il
ramo, era vissuta in Spagna per un anno dopo che la moglie
si era unita alla
chiesa. La loro esperienza nella chiesa, specialmente
quella di lei, era stata
orientata principalmente al Vangelo, un’esperienza
profondamente sentita e
idealistica, ma sostanzialmente astratta, che considerava
molto poco il
servizio agli altri. Lei era una donna austera e molto
riservata, solare,
creativa, ma al tempo stesso molto contenuta di fronte
alle situazioni
incontrollate o alle emozioni. Il marito era meticoloso,
incuteva soggezione,
molto riservato. Nonostante la loro resistenza li chiamai
ad incarichi di
grossa responsabilità e di diretto coinvolgimento con le
persone del rione e li
vidi, anche tra pene e lacrime, trasformarsi in persone
emotive, vulnerabili,
disponibili, in grado di capire, servire così come
imparare e ricevere la
fiducia da parte di persone completamente diverse da loro.
E li vidi imparare
che le tante esasperazioni, difficoltà, sacrifici e
delusioni che
caratterizzano il coinvolgimento in una chiesa laica come
il mormonismo e che
sono particolarmente difficili da accettare per i liberali
idealisti, sono la
fonte principale del potere della chiesa per insegnarci ad
amare. Questa coppia
ora sta insegnando agli altri ciò che ha imparato.
Questa lezione – che i problemi tipici della Chiesa sono
proprio la sua forza -
ha trovato conferma costante quando servivo come vescovo
di un rione di giovani
studenti BYU sposati. Le due benedizioni più dirette,
miracolose e piene di
redenzione che il Signore ci diede, furono, in un rione
riorganizzato tre anni
prima, un bambino spastico tetraplegico in una famiglia e
una coppia disabile
in un’altra. Conoscevo la madre del bambino spastico da
quasi un anno. Dopo
averle parlato dell’espiazione durante una riunione
sacramentale, lei era
venuta da me per avere conforto e aiuto per la rabbia,
l’angoscia e la perdita
di fede che provava mentre tentava di capire l’errore da
parte dell’ospedale
che aveva trasformato uno dei suoi gemelli in un disperato
carico fisico,
emotivo ed economico, che aveva causato l’interruzione
degli studi e della
promettente carriera di suo marito e che aveva più volte
messo alla prova il
loro matrimonio e a rischio la loro fede nel potere del
sacerdozio, lasciandola
infine completamente distrutta e in apostasia. Mentre
pregavo per avere la
guida nell’organizzazione di un nuovo rione sentii, tanto
chiaramente quanto
mai prima avevo sentito, quella "luce nella mente" di cui
parla J.Smith, che mi
diceva che avrei dovuto, anche se in contrasto con il
senso comune, chiamare
questa sorella come Presidentessa della Società di
Soccorso. Lo feci, e
nonostante fosse sul punto di uscire dalla chiesa, lei
accettò. Divenne la
fonte principale di quello spirito unico di onesta
comunicazione e genuina
comunione che divennero la forza del nostro rione.
Visitava le famiglie e
condivideva senza riserve i propri sentimenti, problemi,
successi e bisogni.
Assieme a suo marito parlava apertamente nelle nostre
riunioni di suo figlio,
dei suoi problemi e dei propri personali problemi,
chiedendo aiuto ed
accettandolo, divenendo così nel tempo una persona piena
di dignità e
tolleranza. Da lei e suo marito tutti noi imparammo come
essere più
disponibili, sinceri, gentili e perseveranti, come
rivolgerci gli uni agli
altri per aiutarci in ogni modo e non per giudicarci.
Incontrai per la prima volta la coppia disabile mentre
stavo girando per le
aule del nostro rione durante una prima domenica del mese.
Questa coppia non
faceva parte del nostro rione, perché apparteneva ad
un’altra zona ma, sono
certo, che fosse lì perché così voleva il Signore. Questo
fratello e questa
sorella ci avevano richiesto un maggior impegno, maggior
sostegno, pazienza e
tolleranza mentre li aiutavamo ad ottenere senza debiti un
alloggio dignitoso
che fosse adatto al loro vivace ed energico bambino e
tentavamo di far sì che
fossero meno "invadenti" durante le riunioni e non fossero
di troppo "fastidio"
alle persone. Due sono le lezioni che ho imparato: primo,
la struttura e le
risorse della Chiesa (che sono destinate a sforzi
volontari, collaborativi ma
disciplinati con obiettivi non immediati, essenzialmente
spirituali) sono
state idealmente sviluppate per offrire il supporto
necessario a coloro i
quali, pur avendo già successo nell’avere la propria
famiglia unita, potrebbero
ottenere ulteriori benedizioni sviluppando un maggior
progresso spirituale.
Secondo, le benedizioni arrivarono tanto al rione quanto a
questa coppia in
quanto avevamo imparato a comportarci in modo
"accettabile" e soprattutto
avevamo imparato a sviluppare la nostra capacità di amare,
servire e imparare
da persone che non avremmo potuto conoscere in altro modo.
Una sorella mi
chiamò per riferirmi dei suoi sforzi nel cercare di
insegnare alla sorella
disabile il modo in cui tenere in ordine la casa ed
educare i figli.
Confessandomi i suoi precedenti risentimenti ed
esasperazioni, mi disse tra le
lacrime quanto il suo cuore si fosse addolcito e il suo
"collo duro" si fosse
piegato quando aveva imparato come imparare da questa
sorella così diversa da
lei.
Questi sono, credo, gli esempi di cui parlava Paolo in I
Corinzi 12, il
meraviglioso capitolo sui doni spirituali, dove insegna
che tutte le parti del
corpo di Cristo, la Chiesa, sono necessarie proprio perché
diverse nei talenti.
Infatti, proprio coloro con doni "meno onorevoli" e "meno
convenienti" sono più
necessari e hanno maggior bisogno di considerazione,
proprio perché il mondo
considera e utilizza "altri" talenti. Nella Chiesa ci sono
coloro che con i
"doni" della vulnerabilità, del dolore, handicap, bisogno,
ignoranza, arroganza
intellettuale, orgoglio sociale, anche il pregiudizio e il
peccato – quelli che
Paolo chiama i membri che "sembrano essere più deboli" -
possono essere da noi
accettati, e noi possiamo imparare da loro, possono essere
aiutati e resi parte
del corpo in modo che tutti noi assieme si possa essere
benedetti. Quelli di
noi con i doni, che il mondo considera "più convenienti",
della ricchezza e
dell’intelligenza possono imparare ciò di cui abbiamo più
bisogno: a servire ,
ad amare e ad imparare pazientemente da coloro che
posseggono altri doni.
Ma questo, per il "ricco" e per il "saggio" è molto
difficile da fare. E
proprio per questo coloro che hanno uno di questi
pericolosi doni tendono a non
comprendere e talvolta a disprezzare la Chiesa che, dopo
tutto, è fatta da
persone comuni, peccatori, dalla classe media,
politicamente non sofisticata,
anche dal pregiudicato e dall’uomo medio. E tutti noi
sappiamo quanto possano
essere esasperanti! Sono convinto che nell’esasperazione
si trovi la nostra
salvezza. Se riusciamo a distaccarci dal contesto che
emerge più di tutti, la
Chiesa potrà essere la nostra scuola per riuscire ad amare
incondizionatamente.
Ma questo richiede un cambio di prospettiva, che ora
vorrei qui di seguito
riassumere.
La Chiesa è tanto vera quanto e forse più del Vangelo
perché è il luogo in cui
tutti possono trovare una fertile opposizione, dove la sua
natura rivelata e
guida ispirata mantengono un’opposizione tra valori
liberali e conservativi,
tra fede e dubbio, autorità sicura e libertà pericolosa,
integrità individuale
e responsabilità pubblica e tutto questo dove ci sarà
sempre la miseria quanto
la santità, il male quanto il bene. E se non siamo in
grado di affrontare la
miseria e le difficoltà, se preferiamo che la Chiesa sia
facile, perfetta e
priva di sfide , fatta di costanti e insistenti critiche
alla diversità delle
persone che noi trasformiamo in ordinanze e istruzioni e
facciamo nostri
insegnamenti che incarnano paradossi irrisolvibili da un
punto di vista logico,
se rifiutiamo di abbandonarci con cuore puro in questo
tipo di scuola, allora
non conosceremo mai la verità redentrice della Chiesa. E’
proprio nella
difficoltà di essere obbedienti mantenendo l’integrità, di
avere fede restando
fedeli alla ragione e all’evidenza, di servire e amare a
dispetto delle
imperfezioni e anche delle offese, che potremo ottenere
l’umiltà di cui abbiamo
bisogno per permettere al potere divino di entrare nella
nostra vita in più
modi. Forse il paradosso più sorprendente che riguarda la
Chiesa è che in essa
il divino e l’umano coesistono – tramite il servizio del
sacerdozio, le
ordinanze, i doni dello spirito – in modi concreti che non
potrebbero mai
essere sistemi di idee astratti.
Il mio scopo qui non è stato quello di ignorare i molti
reali problemi della
Chiesa o il potere delle verità del Vangelo. Ho cercato di
indicare tutto
assieme; la forza paradossale della Chiesa deriva dai
paradossi pieni di verità
del Vangelo che essa incarna, con le cui contrarietà noi
abbiamo bisogno di
lottare più profondamente. Non dobbiamo semplicemente
accettare le difficoltà e
le esasperazioni della Chiesa come elementi di redenzione,
ma semplicemente
tentare di trovare delle soluzioni dove possibile e
ridurre le esasperazioni
non necessarie. (Infatti, è solo quando afftrontiamo i
problemi non
semplicemente come esercizi mentali, ma come problemi che
necessitano di una
soluzione, che questi risultano essere elementi di
redenzione).
Ma, oltre alla nostra sensibilità di fronte ai problemi,
dobbiamo anche, credo,
avere più rispetto per la verità delle azioni e delle
esperienze, alle quali la
Chiesa ci espone in modo unico, e rispondere con coraggio
e creatività, essere
membri del corpo di Cristo attivi e uniti, critici sì, ma
pieni di fede, con
dei dubbi, ma con ferme certezze e voglia di lottare. Per
fare questo dobbiamo
accettare la Chiesa come vera sotto due punti di vista
molto importanti. Primo,
è la depositaria delle verità di salvezza e dell’autorità
di eseguire le
ordinanze. Tuttavia queste verità sono difficili da
ridurre a semplici
proposizioni, prese assieme motivano la propensione a
servire, cosa che rende
possibile la scuola di redenzione che ho descritto. Il
concetto mormone di un
Dio non assoluto in costante progresso, per esempio, anche
se non riducibile al
credo o addirittura alla teologia comune, è il più
ragionevole che sia mai
stato rivelato o espresso, pieno di sfide ma anche
pienamente soddisfacente dal
punto di vista emozionale. E, anche se questo concetto non
è da tutti compreso
allo stesso modo, rimane comunque vero. Un amico dubbioso
una volta mi fece
notare che "l’idea di progresso eterno è così inculcata
nella nostra chiesa che
nessun’altra asserzione o serie di asserzioni potrebbe
estirparla", il che
naturalmente avvalla il mio punto principale riguardo
l’originale verità della
Chiesa. Inoltre, il potere delle ordinanze, comunque vero
e divinamente
autorizzato, è limitato alla qualità della nostra
partecipazione e
preparazione. Così, essere battezzati, essere ordinati,
partecipare al
sacramento, ricevere le ordinanze possono semplicemente
essere, ciò che Moroni
chiama "opere morte", un’offesa a Dio e prive di valore ,
a meno che non siano
una genuina espressione della nostra solidarietà con gli
altri (vivi e morti) e
una sincera risposta alla comunione dei santi, questa è la
Chiesa. Ma un unico
punto di vista può non essere sufficiente e io ho fatto
notare come la Chiesa
sia vera in un altro modo che è troppo trascurato: oltre
ad essere depositaria
di principi di verità e dell’autorità, essa è lo strumento
fornito da un Dio
che ci ama e vuole aiutarci a diventare come Lui. Ci
fornisce insegnamenti ed
esperienze che possono unirci l’un l’altro insieme
nell’ambito di una comunità
amorevole e onesta che rappresenta il luogo di nutrimento
essenziale per la
nostra salvezza. Se non siamo pronti ad accettare la
Chiesa e le sfide che
essa offre con la disponibilità, il coraggio e l’umiltà
richiesti allora,
credo, che i nostri studi storici e le nostre imprese
teologiche rimarranno
semplicemente una perdita di tempo diventando addirittura
distruttivi. Non
possiamo capire il pensiero della storia del mormonismo o
giudicare la verità
del Vangelo restaurato da Gesù Cristo se non siamo in
grado di apprezzare e
mettere in atto la verità della Chiesa.

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